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CESARE ANGELINI

QUOTIDIE MORIOR

In C. Angelini, I doni del Signore,
Milano, Bignami, 1970, pp. 61-62.

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La sera quando, chiusi i conti con me stesso e i vicini, entro nel povero letto e m’allungo fra le lenzuola un po’ lise di lino filato (da quanti mai anni?) dalle sollecite mani della mia povera madre, ho l’impressione che sia finita la mia giornata terrena e io stesso mi componga dentro la bara d’una giustezza fatta apposta per me.
Ma la mattina, cantando il gallo all’aurora, si rinnova il miracolo nel quale un giorno splendette la casa di Betania; perché ogni mattina all’aurora il Signore mi dice: «risorgi». Scuotendomi il sonno di dosso, mi levo più fresco del fiore toccato dal sole. Benedico il Signore del bene che mi restituisce, e torno nel lume del giorno, ai cari beni della vita, al lavoro, alla speranza, al sorriso delle creature che vivono e amano sotto questo bel cielo.
Pure verrà un giorno che il Signore si dimenticherà di chiamarmi, di scuotermi dal sonno. Allora qualche anima buona, chiusimi gli occhi, nel chiarore morto della sera vicina mi porterà al camposanto, fra preghiere coperte dal cadenzato rintocco d’una campana; e io calerò per sempre (che temi, o mio cuore?) calerò per sempre sotto la terra nera, pronto a dar fiori e trifogli sopra il mio corpo che si disfa nel buio.
Ma io so che proprio allora sarò come il piccolo grano di frumento gettato a morire sotterra perché granisca in spiga bionda, ricolma. So che il mio corpo mortale giacerà fino al giorno in cui la tromba dell’Angelo spargendo un mirabile suono, lo chiamerà a risplendere, nella ilarità dei cieli; e tutti i corpi dei giusti rifioriranno come gigli nella città del Signore.
Questo mi rende più dolce la sera il colcarmi nel letto fra le lenzuola un po’ lise di lino filato (da quanti mai anni?) dalle sollecite mani della mia povera madre: pensando ogni sera con un pensiero familiare che sia quella la mia piccola bara, d’una giustezza fatt'apposta per me.