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CESARE ANGELINI

SALVIA SPLENDENS

In C. Angelini, I frammenti del sabato,
Milano, Garzanti, 1952, pp. 35-38.

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Alle quattro, cominciò a nevicare sulla salvia: petali bianchi sopra petali rossi. Un incontro meravigliato di colori. Da prima, fu una gentilissima schermaglia, un impegnatissimo gioco d’amore: un attirarsi e respingersi. Esili dita di fata che volevano chiudere esili palpebre; fuggitive carezze, tentate e respinte sopra un tepido nudo.
Poi, il gioco, si fece più serio, direi più convinto. Le alucce bianche ronzavano attorno alla macchia rossa con una gioia turbata, una furia alacre. Niente da fare. Si scioglievano bruciate dalla fiamma, avvilite dalla loro caducità.
Ripresero allora più fitte, rabbiose, con fischio di nevischio; e la rossa luce del fiore estenuato parve per un momento infrangersi, s’infranse, si cancellò nell’inutile candore. Però, sotto il tettuccio aereo — così bianco, così lieve — frusciavano macchie di sangue. Fiore, nella lotta, ferito. Gli restava un impegno di rivincita, e il modo c’era: incurvarsi, piegarsi. E fu vincente umiltà. Scrollò via la neve e riemerse la fiamma, più ardente.
Ma il gioco fu da capo; e ora, vi dirò, senza gioia. Con la prepotenza del cielo lontano da cui scendeva, la neve aumentò la sua furia aggressiva; e la fiamma fu di nuovo spezzata, sommersa, restando qualche susurro di rosso.
Poi, fu un fatto che mi fece trasalire. Uscito dall’alto, un pettirosso, confidente dei fiori, posò sullo stelo nevicato. Scosse le piume snelle come dopo il breve piacere, e la forma del fiore ribrillò con un chiaro tinnito. Si fermò un poco a guardarlo, contento: nemmeno la gelata prepotenza del cielo poteva uccidere il cuore rosso e stanco di un fiore. E tutto il giorno i suoi occhi specchiarono quella maraviglia, quella dolente passione.

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Avete notato che i fiori bianchi sono i più profumati: un profumo pingue, inquietante: gelsomini, gigli, mughetti, tuberose. Non hanno, come gli altri, da costruire importanti dialoghi di colori; ma solo da filare la loro seta bianca. E sono tutto profumo, che ondeggia e spira dalle pieghe della veste calda.

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Della donna si parla sempre volentieri; e non soltanto per una cortesia da Galateo o, meglio, da Galanteo. Ella è pure la cosa più gentile della città terrena, il tempo felice dei nostri giorni poveri. I poeti quali cose non hanno detto di lei? Fiore della vita, giovinezza del mondo, paesaggio ricco... Hanno chiamato tutte le cose al suo paragone, concludendo poi che di tutte ella è la migliore. Provenzali, dolce stilnuovo, umanesimo, arcadia, romanticismo, hanno inventato via via modi nuovi di esaltarla, di celebrarla. Ciascuno di essi potrebb’essere individuato dalle parole che ha saputo dire alla donna.
E c’è un mondo nel quale ella è regina assoluta: il mondo della moda; gioco di zampilli ridenti, capriccio di vento che d’improvviso fa fiorire l’aria; creazione impegnata di formae pulcrae che possono avvicinarsi al mondo dell’arte, se l’arte è il mondo delle belle forme. Può essere anche una cosa seria: anzi, lo è: fantasia e filosofia, allegria, lirica; un’invenzione che appartiene alla stessa importanza del vivere. E se il Leopardi in un suo dialogo chiamò la moda sorella della morte perché nata dalla caducità, non basta a sminuirne la potenza di seduzione; come per ogni cosa bella della vita, la sua seduzione nasce proprio dalla sua caducità.
È, dunque, un mondo che noi non giudichiamo nè, tantomeno, condanniamo. Si rimprovera forse il fiore perché si adorna di belle forme e colori? Ha con sé la testimonianza del Vangelo: «Nemmeno Salomone è così ben vestito...». Disse un poeta che ogni creatura deve cercare d’essere sempre più bella per non stonare nell’armonia dell’universo.
Ma è chiaro che tutto questo mondo è, direbbe Alain Fournier, à la recherche du corps de la femme...; ci presenta la donna come un corpo da vestire o da svestire; ignora che ella abbia un’anima, e che, ornando il corpo, orna la custodia e quasi il tabernacolo dell’anima. Consapevolezza che porterebbe a una estetica più responsabile e presente. La conchiglia non splende per se stessa, ma per la perla che porta e che nasconde.

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Se talvolta abbiamo cercato un’immagine di noi nelle cose di natura, ci siamo sempre trovati simili alla bianconera rondine virgiliana che va su e giù, su e giù, pabula parva legens..., raccogliendo briciole, trucioli...