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CESARE ANGELINI

«LA ALLEGREZZA DEL CAMINETTO»

In C. Angelini, I doni del Signore,
Milano, Bignami, 1970, pp. 47-50.

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L’espressione è di Leon Battista Alberti nel libro su l’Architettura: «La casa abbia la allegrezza di un caminetto...».
In quella limpida fiamma anche la povertà perde la sua asprezza. Se poi è sera e la lampada che pende su la tavola è raccolta sotto il paralume, il tremolo gioco di ombre ch’ella suscita su le pareti, ha alcunché di stregonesco.
Esperto goditor di stagioni (come n’ebbe più d’uno il raffinatissimo Seicento), c’è da credere al Magalotti quando dice: «L’inverno, se state al fuoco, è delizia...»; e la cosa, a parte il tono che un poco tira al peregrino com’è d’ogni pagina di Lorenzo, coincide con un nostro proverbio lombardo: «Piova, fiocchi o tiri vento, presso il fuoco fa bel tempo». Che è poi press’a poco la traduzione d’un verso di Tibullo: «Quam iuvat immites ventos audire cubantem».
Certo, il fuoco bisogna saperlo preparare e regolare con ingegno e con arte: i pezzi di legno prepararli a misura, posarli su gli alari, l’uno su l’altro, arieggiando un piccolo castello la cui bellezza è tutta in quel suo trovarsi lì in bilico. C’è chi si vanta di saper fare un bel fuoco; donde il proverbio, espressione di economia domestica: «Chi sa far fuoco, sa far roba». Il Manzoni aveva una sua teoria in proposito e si vantava di saper farlo in modo più ragionato degli altri: cioè, di dietro, un ceppo ricoperto di cenere, e, davanti, uno o due legni che dovevano abbassarsi in semicerchio: sicché tutta la potenza del fuoco si riverberasse sullo spettatore. Spiegava poi al Rosmini che «le legne bisogna che siano accomodate in modo che abbian fra loro il maggior possibile ravvicinamento e il minor possibile contatto...».
Fu un tempo in cui attorno al focolare la gente cresceva proverbiosa e contenta, esperta di bei sortilegi e d’ingenue rime: «Un legno non fa fuoco — due ne fanno poco — tre fanno un fuocherello — e quattro un fuoco bello — cinque un fuoco da signore — e sei un fuoco da fattore»; ov’è appena da notare che il fattore fa il fuoco più bello, perché — come uomo di fiducia — ha mano libera di bruciare alla catasta del padrone.
Non conosco il libro di Carlo Wagner intitolato Auprès du foyer; ma penso che sia pieno di piccole rivelazioni e secreti. Per ora mi basta sapere che è stato scritto un libro con questo titolo. Piace, leggendo il Discorso sul metodo, sentire Cartesio che dice di aver passato un inverno vicino al fuoco, a pensare. O, leggendo i Promessi Sposi, il romanziere ci porta vicini al focolare dove Tonio, con un ginocchio su lo scalino, dimena la polenta col matterello ricurvo, mentre sul desco una tafferia di faggio sta ad aspettare che si scodelli. Né meno bello è l’altro luogo ove dice che, all’aprirsi degli usci, in quel lieto tramonto, si vedevano brillare i fuochi accesi per le povere cene.
Ma più vivi nella memoria, o vecchio focolare della mia casa natale, dove mi rivedo magro contadinello accanto alla buon’anima di mio padre — tipo di biondo fattore — leggermente inchinato non senza una sua maestà sul paiolo, aspettando che l’acqua levasse il bollore; mentre mia madre con un trepìcchio giocondo che le scoteva la florida persona, stacciava nella madia la farina dell’ultimo raccolto.
Ed ecco che, in virtù del focolare, oggi mi si rivela intero il commosso paese che crea dietro di me la pulita povertà de’ miei natali, e il ricordo de’ miei vecchi, ben piantata razza di campari in giro tutta la notte a custodir acque allagate di luna.
Ma con la lampada ad olio, col pane fatto in casa, con la camicia cucita a mano, è scomparso anche il focolare. Stufe, termosifoni, caloriferi, fornelli elettrici (Dio mi perdoni se nomino tutte queste cose), l’hanno ovunque sostituito. Siamo rimasti in pochi ad amarlo con fedeltà, il vecchio focolare, e a sentire la potenza religiosa sull’anima; pochi uomini irrimediabilmente casti e casalinghi.