Poche verità della nostra religione danno gusto come questa umanissima invenzione dell’Angelo custode. E il considerare che un così gran vicino l’ha il Re quando scrive la legge, seduto sul suo trono, e l’ha il mendicante seduto su la pietra del cimitero a mangiare il pane della carità, è cosa che nobilita la vita, e l’esalta.
La poesia pagana ha fatto appena in tempo a intravvederlo; mail Dèmone, di cui parla Socrate presso Platone, e il Genio dei romani, sono lontani dalla umanità del nostro Angelo custode. La Bibbia è piena di questi messaggeri alati, e le sue pagine trasaliscono dei loro brividi luminosi.
Bello quel passo del Vangelo dove si discorre dei fanciulli, che non bisogna scandalizzarli perché i loro Angeli vedono il Signore faccia a faccia. Non si poteva inventare un modo migliore per dare il senso di riverenza che si deve al fanciullo.
Chi sa gli aspetti che può prendere il nostro Custode secondo i tempi e i nostri bisogni? Il figliuolo di Tobia, uscito di casa un mattino di buon’ora per andare al paese dei Medi in cerca d’una sposa, s’imbatté come per caso in un giovanotto che lo salutò e, attaccando discorso, trottarono insieme fin là: né sapeva Tobiuzzo che quel giovane dal bavero alzato, era un Angelo. E di qual Santo si dice che fu visto più volte, fermo in mezzo alla via, a conversare con taluno che la gente non vedeva, e poi si seppe dalla sua bocca medesima ch’era il suo Custode augusto?
Non tutti i frulli d’ali che senti lungo i filari o sotto la gronda di casa, sono frulli di passeri; e il fruscio che ti scuote, in certi momenti improvvisi, non è sempre il vento che cammina in vetta ai meli. Nella divina economia di bene, così ricca di sorprese, in cui è stabilito il mondo, c’è sempre da aspettarsi che quella sia la sensibile rivelazione del tuo alato Attendente.
Mi contava un santo sacerdote (qualcuno c’è ancora) che il giorno degli Angeli custodi, celebrando la messa nella sua chiesetta di San Giovanni al fonte con assistenza di molti fedeli, gli accadde di sentire per tutto il tempo un vasto frullar d’ale, né sapeva donde venisse, con musica di ordinatissimi movimenti. Tanto ch’egli pensò trattarsi d’una adunata d’Angeli (il suo e quei dei presenti) che recitassero la messa con lui. Non ho mai udito un racconto che m’abbia data maggiore commozione. Se non (ero a Cesena) quella che provai una volta quando capitato sul far della sera presso una vecchia Abbadia, da quei monaci gravi sentii cantare l’Ora di Compieta e dalla voce del Padre Priore recitare l’orazione finale, che è un inno agli Angeli: «Visita, o Signore, questa tua abitazione, e allontana le insidie degli spiriti mali; i tuoi Angeli abitino in essa, e la custodiscano nella pace». In quel momento, attraverso il bagliore di queste parole e sotto il suono dell’ultima campana, mi parve di vedere una gran gente d’Angeli che, uscendo dall’alto, scendevano sulle case come l’ultima benedizione della giornata. E tornato alla mia comoda camera nuda come una cella, chiudendo l’uscio e accostando gli scuri, tremavo dalla gioia che mi dava il sapere, quasi anzi il vedere, che ci avevo rinchiuso un Angelo, e proprio tutto per me.
* Conservo la lettera nella quale la figlia del poeta F. T. Marinetti — Vittoria — mi scriveva che il padre, morente, volle che gli leggesse e rileggesse questa piccola pagina. La quale non poteva avere maggior compenso d’essere stata scritta. [La prima edizione del volume, I doni del Signore, che contiene questa prosa, uscì presso Grazzini, Pistoia, 1932, ndr]