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INDRO MONTANELLI

UN RITRATTO DI CESARE ANGELINI

“Corriere della Sera”, 30 dicembre 1964, p. 3.

***


Angelini nel suo studio in via Luigi Porta.

Fotografia di Giuliano Carraro


Monsignor Cesare Angelini è uno dei personaggi più singolari, e più squisiti, del nostro tempo, un abate francese del Settecento sopravvissuto, chissà per quale miracolo d’ibernazione, fino a noi. Non so cosa lo indusse al sacerdozio. Se fu la vocazione religiosa essa ha dovuto vedersela con quella letteraria, e non potrei giurare che ne sia uscita trionfante. Egli sostiene che a convertirlo (o a pervertirlo?) alla poesia furono, quando poco più che ventenne andò a Cesena, Renato Serra e Monsignor Cazzani, celebre grecista «Un critico – egli dice – che sarebbe diventato insieme Benedetto Croce e Francesco De Sanctis, se lo Spirito Santo non l’avesse fuorviato verso l’amministrazione diocesana». Quando gli faccio notare che quel «fuorviato» mi sembra un po’ grave, almeno per lo Spirito Santo, allarga le braccia in gesto contrito, ribattendo placido: «E mi controllo».
Angelini ha partecipato attivamente a tutta la vita letteraria di questo secolo. È stato futurista e cappellano degli alpini. Ha partecipato al gruppo dei “vociani”, ed è tuttora intimo amico di Prezzolini con cui intrattiene una corrispondenza serrata. Per seguirne gli scritti, legge “Il Borghese”. «Qualche volta – confessa –, ne guardo anche le fotografie». È uno degli ultimi campioni di quell’umanesimo di provincia di cui purtroppo si sta perdendo il seme. Il suo idolo è Manzoni, cui ha dedicato studi eccellenti. «Un Voltaire illuminato dalla Fede» dice. E non si capisce se la sua reverenza vada più alla Fede o a Voltaire.
Ha settantasette anni e per ventidue è stato rettore del Borromeo. Ora si è ritirato in una casa di via Luigi Porta, foderata di libri, dove vive con una nipote. È qui che son venuto a trovarlo. Minuto, fragile, con una gran chioma bianca pettinata più da musicista che da prete, parla per aforismi, socchiudendo gli occhietti chiari, sempre abbassati in uno sforzo mal riuscito di umiltà e continuamente abbracciando l’aria per trarre fuori dalle maniche i polsini di una candida camicia di seta. Gli si attribuiscono motti da medaglia. Una volta disse dei gesuiti: «Sono abbastanza modesto per accettare una loro critica, ma troppo orgoglioso per raccogliere un loro elogio». E del Cristianesimo: «Non ci si crede perché sia vero. Ma diventa vero perché ci si crede».
Fuma una sigaretta dietro l’altra. Se la leva di bocca solo per introdurvi la tazzina del caffè, che si fa da solo in cucina. Lo deliba con raffinata ghiottoneria, come deliba i libri che legge e le frasi che pronuncia, abbassando la voce quanto sono più pungenti e maliziose, da grande attore. Il suo sibaritismo letterario, la sua eleganza intellettuale, la sua parola cesellata, sono il perfetto controcanto di questa città agreste, pedestre e ruvida.




LA RISPOSTA DI ANGELINI

Pavia, via Luigi Porta 14
3 gennaio ’65


Caro Montanelli,

sullo sfondo d’una Pavia ruvida, lei ha disegnato di me un ritratto pieno di responsabilità, che la memoria ha già messo in cornice, per salvarlo.
Temevo per quell’abate del Settecento un po’ di maniera, dopo Antonicelli e dopo Piovene; ma l’asciuttezza delle sue parole ne ha fatta una cosa seria e degna di rispetto. Quelle linee, quei gesti sono proprio miei: non so come li ho acquistati né cerco di liberarmene, perché sono proprio i miei.
Qualcuno, letto l’articolo ha temuto un poco per me: il rogo o tre tratti di corda? Ma i gesuiti, per quel che li riguarda, sono troppo occupati a difendere Pasolini; e, per il detto che tocca il Cristianesimo, sono troppo intelligenti per non capire che la seconda parte e l’approfondimento della prima. A ogni modo io sto col mio censore ecclesiastico – Beonio Brocchieri – che ne è entusiasta, dico di questo come d’ogni altro suo scritto, compresi quelli della Domenica.
[…]
Stia bene, caro Montanelli; e teniamo conto le due cose più nostre: i giorni per vivere e le parole per scrivere. Che vuol essere un augurio di buon anno, di buon lavoro.

Suo Angelini


[Lettera conservata al Centro Manoscritti dell’Università di Pavia]