CESARE ANGELINI ESAMI DI COSCIENZA DEL 1957
Pensieri e riflessioni da un diario
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Prima pagina del quaderno.
archivio privato |
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[alla prima pagina bianca]
La verità vi farà liberi
«Les arbres qu’on a planté demeurent, et nous nous en allons»
Voltaire
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I Gennaio
Sa il Cielo se...
Devo confessare che, in tanti anni di vita, non ho mai pensato al mio domani o (diciamo la turpe parola) alla mia vecchiaia. Per saggezza evangelica, o per insipienza e incoscienza? Forse vi si mescolano tutt’e due le cose. Sento che questo 1957 sarà l’ultimo anno del mio rettorato in questo Borromeo¹. Lo sento, anche perché mi sento logoro. «Diu viximus»; mi sento un uomo usato. Non bisogna invecchiare nei luoghi. Non bisogna invecchiare i luoghi.
Dunque me ne andrò. E, forse per la prima volta, sento cosa vuol dire, per me, andarmene.
Non ho casa, non ho uno straccio di mobilio, non ho un soldo. Non ho mai avuto tempo di avanzarmene. Ho sempre visto attorno a me, gente più povera di me... E questo e quella... Qualcuno ride, quando mi sente dire che io conosco qualche libro ma non conosco libretti (di Banca). E rido anch’io.
E se oggi mi pongo questo problema, non è per sfiducia nella vita, nella Provvidenza di cui ho sempre avuto manzonianamente «un senso risoluto»; più che altro, è per la curiosità del caso, che, per combinazione, mi riguarda. Che strano! il caso, stavolta, riguarda proprio me. (Me ne accorgo, per esempio, che, da più di quindici anni, non mi sono mai comperato un paio di guanti, un orologio da polso... Non ho mai trovato venti mila, o due mila lire per me...)
“Andarmene”.... Ma non è un problema: forse, è solo un facilissimo teorema: «Non sono io più di un uccello?»
[1. Angelini lascerà poi il Borromeo nell'ottobre 1961.]
4 genn.
Dopo parecchia “esperienza di Collegio”, sono profondamente persuaso che i giovani — sopra tutto studenti — non li “formano” i “superiori”, o i regolamenti; ma maturano dall’interno. Dall’interno si sviluppano e — se ne hanno le capacità — si perfezionano. Vedi V., e vedi B., e vedi T. e vedi (quasi) tutti. (Non obbligare mai a fare una cosa; se mai, invitare; e lasciare che essi stessi, persuasi, vi si obblighino.)
6 genn. L’epifania.
Nella lettura del Vangelo di stamattina mi ha colpito, come mai prima, una paroletta: Eius... «Vidimus stellam Eius in Oriente, et venimus...» La stella di Lui, la Sua stella. Inutile, dunque, le quistioni sulla natura di quella stella, e se era la cometa di Haléy o non so che altro. Gli scienziati — Keplero compreso — non hanno nulla da fare, qui; fuorché un umile e grande atto di Fede. Non si tratta di una stella catalogata, elencata nel solito — o insolito — firmamento. È un particolare del grande miracolo, e miracolo essa stessa. Stellam Eius: la Sua stella. Mi riempie di gioia. Gli scienziati rinuncino a misurarne la grandezza: ha la grandezza del miracolo. Rinuncino a misurarne la distanza da noi. I fedeli, piuttosto, ne misurino la vicinanza, e la comprenderanno sempre di più. La scienza, qui, fa il suo servizio d’amore: alla Fede, anzi, all’Amore infinito. Queste cose mi esaltano (mentre mi fanno sempre più umile).
7 genn.
Poche persone conosco più adatte alla conversazione della L.¹; ne sente il bisogno, il gusto, l’umano fascino, il beneficio segreto.
Aggiungo che pochissime ne conosco che, più di me, ne desiderino l’occasione: conversazione come lettura d’anime, come (umile) lezione, come riscaldamento a un focolare... Eppure, quando ci troviamo, magari per delle ore, e talvolta dei giorni, non riusciamo quasi mai a conversare, e ci si lascia con una insoddisfazione grande; come d’un’occasione perduta.
È che io sono troppo preoccupato della sistemazione materiale di questa cara Amica, e della sua quasi incapacità organica a conseguirla. E fin che non l’avrà conseguita, sarà sempre una creatura disorganizzata, infelice, e renderà inutili tutti gli altri suoi doni di educatrice, di scrittrice ecc. (Quello che, in un altro senso e per altri motivi, è accaduto, accade, a [...].)
Eppure ha saputo fare qualcosa di buono anche nel campo pratico: diploma montess.[oriana], diploma magistrale. Sa cercarsi una casa, e colmarla con due o tre mobiletti; smontare un divano e farne un letto. Insomma... Ha tutto l’occorrente per organizzarsi; e costruire.
[1. L. era una giovane e carissima amica di Angelini. Era spesso ospite di Angelini in Collegio, dove, nella sua frequentazione, ha anche preparato gli esami per gli studi di maestra, magistrali.]
8 genn. “Avviso a me stesso”
Se non vuoi far fallimento nel governo del Collegio, sii persuaso intimamente che i giovani sono buoni. Potranno sbagliare, di qualunque sbaglio, anche il più antipatico e odioso. Ma lo sbaglio non è sempre colpa. (Mai come qui ti deve aiutare il dizionario dei Sinonimi.)
Cattivi sono — o possono essere — solo i vecchi; i giovani, no. Perciò, vai piano nel punire; o solo a ragione veduta, dopo averci pensato su almeno un giorno. Anche questa è humilitas che devi avere, no? Se no, a che t’avrebbe giovato vivere 18 anni sotto questa insegna? Avresti confusa una virtù con un fregio di piatto o di cancello.
10 genn.
Guardarsi da una politica (governo di una piccola pólis, no?) troppo impulsiva o troppo remissiva. Per stabilire l’equilibrio in certi momenti della vita del Collegio, bisogna prima averlo. (Ahimé, ahimé, ahimé!)
11 genn.
Due cose voglio chiedere al Signore per quando sarò morto, per quando sarò chiuso nella mia ultima casa (che, per essere pronunciata bene, ha bisogno di un’altra s). La prima, avere lì accanto, un rivoletto d’acqua (scorre l’acqua sotterranea, saggia, tra le case dei morti) dove poter allungare la mano, ogni tanto, e rinfrescarmela e bagnarmi un poco gli occhi. La seconda, avere un lumicino al quale poter leggere una volta al giorno la pagina di Matteo (il cui Vangelo sarà il mio guanciale) aperta dove si parla della resurrezione dei morti. Per essere pronto alla chiamata della tromba finale. «Canet enim tuba... ». Ci credo fortemente. Ci credo.
14 genn.
Ogni sera, prima d’andare a letto, ho bisogno di fare due cose: andare a toccare con mano la porticina del Tabernacolo, per avere il perdono di Dio che vi è racchiuso per nostro amore; e guardare sotto il letto. Si sa mai..., un gatto, un topo, una lucertola. (Un’anima del Purgatorio...)
15.I.
«E patria non conosco altra che il Cielo»
17.I.
Interessandomi un poco al mio paese nativo (piccole cronache di provincia: chi era il falegname di Albuzzano nel lontano agosto di quel lontano anno... Probabilm.[ente] Il nonno del falegname d’oggi) potrei forse sapere chi fu il falegname che mi ha fatta la piccola cuna. Ma chi sarà il falegname che mi farà la bara? I morti, queste cose non le sanno...
18.I.
Oggi ho guardato a lungo il ritratto di R.[enato] Serra. Tutto lui, come quando lo vedevo quasi ogni giorno a Cesena, sotto i portici o in biblioteca: fanciullone mitissimo e sensuale, solitario e bisognoso d’affetto. (E chi gli è stato vicino, non ha saputo darglielo. O, forse, l’avrebbe respinto come un dono non chiesto.)
Mi domandavo perché S.[erra] era ogni giorno nuovo...
Perché ogni giorno sapeva ritirasi in sé e fare L’esame di coscienza. È la parola che getta tanta severa umanità su tutte le sue pagine. E le fa durevoli.
21.I.
Sono preso da un misterioso spavento... E forse ne ho fondato motivo. (Mio Dio, mio Dio. Vivere tanti anni, e non avere ancora imparato a vivere... Mi fa amara ogni memoria...)
24.I.
È difficile essere cristiani. Difficilissimo essere sacerdoti. (Mio Dio, c’è un modo comodo per superare le difficoltà: non ci si pensa, e tutto diventa facile. Basta che mi guardi attorno, e questa spaventosa cosa la noto ogni ora e momento... Ma se uno ci pensa... se si lascia andare a questo bruciante tormento... O diventa matto o si fa santo subito. Ma, ahimé! pur troppo, forse, c’è un’altra via d’uscita. Basta che io badi a me stesso, alla mia spaventosa incoerenza... Difatti non sono né santo né matto.)
30.I.
Il prof. L. mi ha regalato un pacchetto di sigarette egiziane, turche insomma, che lui trova (niente scandalo) in Vaticano, ogni settimana quando va a Roma. Son lunghe esattamente due volte le nostre comuni sigarette, e ben rimpolpate, più grosse delle nostre. Sono veramente musulmane, favoriscono il piccolo ozio e la contemplazione (inerzia); si guadagna tempo, risparmiando l’accensione frequente (e lo zolfanello). Con una di queste sigarette, il musulmano che l’accende a Pera, fa beatamente la traversata del Bosforo, andata e ritorno.
31.I.57.
Non badare mai al lato amaro delle cose che ti accadono: cioè non dargli mai troppo peso. Non ne vale la pena; e poi ti toglierebbe le forze che occorrono per camminare, per continuare: e nella vita bisogna continuare, camminare. Riflettici: chi ne parlerà più domani del tuo piccolo infortunio? chi se ne ricorderà più? In quanto a te... Basta aprire, al mattino, gli occhi nella luce fresca, perché tutto il mondo cominci da capo. Quell’apertura che si chiama mattino, alba, aurora... Nomi, parole come medicine, liberazioni. È quello che devo fare oggi, che mi interessa; non quello che non m’è riuscito ieri. (Se poi ci badi bene: quell’amaro che ci senti, è il tuo amor proprio offeso, umiliato; solo quello. Devi, dunque, dire: — ti sta bene, se t’aiuta a liberartene. L’amor proprio: cioè la tentazione che ti segue — ci segue — ogni ora e momento. La parte più pericolosa di noi.)
2 febbr.
In questi giorni sto portando avanti un commento ai Promessi sposi per l’Utet¹. Mio Dio, un libro che, se si prende in mano, bisogna essere a posto con la coscienza, con i propri doveri. Se no, s’arrischia di sentirsi un rimprovero a ogni pagina. Forse è per questo che lo porto avanti con una lentezza indecente...
[1. I Promessi Sposi, con commento di Cesare Angelini, pubblicati dalla Utet nel 1958 nella collana “Classici Italiani”.]
3 febbr.
Chi continua a rammaricarsi, a rodersi dentro, ancora oggi per un “infortunio” accadutogli ieri, è come chi cammina tenendo la faccia volta indietro. (Buffo, oltre che pericoloso.)
4 febbr.
“Pover’uomo...” Non si riflette mai alla ricchezza umana che l’aggettivo povero aggiunge a uomo. C’è una carica di umanità che arriva alla commozione. Dici uomo, e arrischi di dire — spesso — una cosa astratta e lontana. Non lo è più se dici “pover’uomo”. Tant’è vero che la povertà è una ricchezza...
6 febbr.
(Colta, per caso, da una finestra aperta.)
Diceva una massaia che, evidentem.[ente], non voleva lavare il pavimento: «Dopo tutto, è la casa che deve servire a noi, non noi la casa».
È tutt’altro che una frase lazzarona...
8 febbr.
M’è piaciuto che Benvenuto Terracini, il filologo comunista, avesse subito capito (sentito) che, in questo Borromeo, gli incontri non restano semplici conoscenze ma diventano amicizie.
13 febbr.
È morto improvvisamente Concetto Marchesi. Il “Corr.[iere] della Sera” ne dà notizia alla svelta, un mezzo colonnino. È vero che era comunista..., ma, al rendiconto della morte, questo deve contare poco. Nemmeno il “Corriere” può dimenticare quello che M.[archesi] ha dato alla coltura con i suoi studi, con le sue ricerche nel campo del latino medievale; coi suoi medaglioni su Seneca e su Tacito; e con quel manuale di Storia della lett.[eratura] latina che ha accompagnato tanto utilmente diverse generazioni di studenti, di studiosi. Il comunista, sì, oggi è di fronte a Dio e al suo giudizio: l’uomo di coltura è rimasto tra noi col beneficio delle sue opere. Imparare a ringraziare è difficile. (Ma non mormoriamo. Dimenticavo che lo spazio del “Corriere” è tutto occupato dal “processo Montesi”. È vero, è vero.)
14.II.
«Caro [...],
ho ricevuto il suo contributo per l’Associazione: e, a nome dell’Associaz.[ione], la ringrazio di cuore. Non è mai poco per chi riceve, quello che è quasi troppo per chi dona.
Lei ha ragione di dire quello che dice sul magro compenso che il Governo (quello di oggi vale quello di ieri) dà a chi ha fatto della coltura e della scuola una ragione di vita. Ma, per fortuna, lei sa, noi sappiamo, che la coltura è la nostra vera ricchezza, e ci permette di gustare il piacere che ci viene proprio dal limite.
Suo A.»
18.II.
Da scrivere sulla porta della scuola di L.¹: «Chinata al nido dei suoi dolci nati».
[1. L. era allora diventata maestra d'asilo.]
21.II.
Che grande cosa mi pare d’aver scoperto oggi: che, facendo la carità, noi abbelliamo la nostra vita, e ci aiuta a scoprirne un significato, uno scopo. La sua grandezza.
3.III.
Fare sempre credito al domani... Pensare che sarà migliore di oggi, e le nostre cose domani andranno anche meglio...
7.III.
Dio mi liberi dai pensieri d’orgoglio. Ma, oggi, uno spirito che voglia difendere la sua nobiltà — in ogni manifestazione, in letteratura specialmente — deve crearsi una sua zona di solitudine e silenzio: una clausura. Se no, si contamina. È la sconsacrazione di chi è nato a questo. È la vera impurità.
10.III.
Sento che i giovani tornano a parlare del Capitale (Marx). Il mio Capitale è sempre, sarà sempre il Vangelo.
18.III.
C’è chi vive il regno della terra (i più): io, sulla terra, voglio vivere il regno dei cieli. (Mi sento tutto dentro un versetto del Vangelo: «Guardate i fiori dei campi... i passeri...» Tutto qui, tutto lì. Mi basta per vivere, per aver fiducia a vivere. Tutto l’altro è superfluo: quindi non è mio. È un peso.)
23.III.
Dio è verità, è la Verità. Ci voleva uno che la rivelasse: Gesù. Così il mondo è armonia: ci vuole uno che la riveli, la faccia sentire: il poeta. In questo senso — non contenutistico — il poeta ha una missione.
24.III.
La virtù quando diventa sentimento, crea una fisionomia all’uomo che l’ha, ancora più forte che non siano, per l’esterno, i così detti “segni personali”. La virtù arricchisce, non dissolve.
26.III.
Solo la preghiera — la preghiera che diventa abitudine senza abitudine — fa l’occhio acuto al punto di farci vedere Dio in ogni cosa, ogni cosa in Dio. (Porta alla contemplazione, che è cosa per se stessa religiosa. Direi anche etimologicamente: cum-templo: tempio o Casa di Dio.)
27.III.
Il colore mi ha sempre ossessionato. Davanti ai colori, io sono come la farfalla, questa variegata particella di Dio, che s’ubriaca di colori. Li beve. Se ne nutre.
4 aprile.
Oggi, in giardino, ho visto volare le api, le creaturine che fanno il miele, la cosa più dolce. Mel. Se Dio si nutre, oh certo si nutre di miele. Il nutrimento più limpido, “aereo”. Lo chiama Virgilio; e l’aggettivo lo porta vicino al Cielo, Deós, Zeus, Dio. (Teologia come filologia.)
7 aprile.
«Noi suoneremo le nostre campane...» La frase mi arriva da una lontananza storica. Ma non è vecchia, non s’è invecchiata coi secoli. Una forza cosmica, voleva dire quel tale. Me ne ricordo ogni volta che sento suonare campane. «Noi suoneremo le nostre campane...» (Me ne accorgo che è anche un endecasillabo.)
8 aprile.
Quando Dio ha creato il mondo, era certo in una grande ispirazione. Un Dio, Dio ispirato. E creò Maria; Sua Madre.
9 aprile.
L’importante è fare. Il tempo poi ripulisce anche quello che abbiamo fatto meno bene.
12 aprile.
| Io scrivo i miei problemi tra le nuvole
e il vento li risolve... |
Li credevo miei, questi due versi, tanto dicono una cosa mia. Ma non sono miei.
15.IV.
Cercare il silenzio, la solitudine, la dimenticanza, come un privilegio, un onore: un vero modo d’essere onorato. (Ricòrdati, ricòrdati.)
20.IV.
«Il meglio in me è che io non mi piaccio. Non sono quello che dovrei essere. Questo mi dà un orribile disgusto di me. Signore, è tempo...»
4 maggio
Ricordati dell’«honeste vivere et suum cuique tribuere...». In questi tempi di confusione e di furberie e di frammentarismi, è necessario ancorarsi a questi principî nati con la coscienza dell’uomo, e son lì, fermi, incrollabili come le montagne, o le stelle in cielo.
15.V.
Ho letto su un giornale: «L’uomo rimane sempre l’unico metro di misura dell’Universo. Ed è cosa profondam.[ente] significativa che tra Russia e America si cerchi di stabilire rapporti culturali, scambi culturali: è un ravvicinamento stabilito sul piano dei rapporti umani. La umanità stupefatta e anche atterrita dalla sua potenza tecnica che appare illimitata, cerca la sua salvezza nell’Uomo».
18.V.
Se sopra una mela o un grappolo d’uva nella fruttiera portata in tavola, si trovasse, per caso, un ragnetto, come ci affretteremmo a farlo scomparire. Ma poi, quanto dona un ragnetto su una mela o un grappolo dipinto!
18.V.
Un peccatore (e chi non lo è?) deve sempre guardare con bontà agli altri peccatori. (E allora come si spiegano certe polemiche, aspri attacchi di uomini e giornali cattolici — magari l’“Osserv.[atore] rom.[ano]” — contro quelli dell’altra riva? Non sono proprio quelli che più hanno bisogno della nostra parola cordiale, della nostra mano allungata?)
La parola di Gesù: «Non sono venuto per i sani ma per i malati» la può, la deve ripetere ogni cristiano per stabilire i suoi rapporti col suo prossimo. E in questo caso, il nostro prossimo è proprio colui che è più lontano. Il prossimo, nell’altro senso, etimologico, è interpretazione troppo egoistica.
(So come mi rispondono: — Noi difendiamo la verità offesa, ingiuriata... Può esser risposta commoda per salvare i proprii risentimenti, i proprii punti di vista magari esclusiv.[amente] personali. Quando si mira veram[ente] a difendere la verità, si sa sempre trovare un tono di carità. «Veritas in charitate».)
18.V.
Sono vecchio, ma non mi sento vecchio; dunque non sono vecchio.
26.V.
Colui che non spera, non fa credito alla realtà.
30.V.
In questo vivere frammentario che oramai le circostanze (circum stantia) ci impongono, ricordati dei 10 comandamenti di Dio, e riuscirai ancora a dare unità alla tua vita. (Quanti sono gli uomini che, svegliandosi al mattino, si ricordano dei dieci comandamenti?)
2.VI.57.
Non è povertà quella di chi non possiede niente; questa è miseria. Povertà è avere qualche bene — magari parecchio — e vivere col cuore distaccato.
5.VI.57.
Il Vangelo va letto con piena docilità.
10.VI.57.
In questi giorni mi piace andare in giro per le vie della città, con in tasca una saponetta e un pacchetto di sigarette “Stop”, per la smania di fare qualche regalo. Se incontro una donna che conosco, le offro la saponetta; se un amico, le “Stop”. La piccola azione poi mi segue e mi intona l’anima a lavorare, a vivere.
12.VI.57.
Sentire la rara gioia che ogni giorno ci si perfeziona un po’...
15.VI.
«O vaghe montanine pasturelle...»
Oggi mi è accaduto di rileggere questa fresca ballata. E, fin dal primo verso, mi ha colpito, il portento della poesia. La quale, che cosa sia non so. Si sente — e questo è un vedere dell’anima — come un fiorire di mattino tra i rami, uno sgorgare di luci, un dislocare luce; un fiorire di parole dalla bocca, da questa cosa bellissima che parla, bacia e ride.
20.VI.
Renato Serra. Un ricordo che arricchisce tutta un’esistenza. E le crescenti testimonianze sul suo nome in campo letterario, ne aumentano la verità.
Ha scritto pagine che è bene leggere per acquistare il gusto della poesia, della lettura. E ha scritto pagine che è bene rileggere per abituarci a essere modesti. Che giova scoprire in lui i più fini segreti dello stile, se da lui non impariamo la modestia del sentire, del vivere?
26.VI.
«Giungo all’asciuttezza ideale: non ho più bisogno di descrivere un albero, mi basta di scrivere il suo nome», Renard. Scriveva queste parole tra il 1906-1910.
E Soffici riprendeva e quasi traduceva: «Cielo... e che io senta... ».
30.VI.
Rileggo i Sepolcri... Il Foscolo: un poeta che sapeva correggere Dante.
E ogni volta che cita un poeta, lo migliora.
5 luglio 57.
Etimologie.
sincero = sine cera, puro, tutto miele biondo.
sereno = di sera, tempo di sera, limpido.
propaganda = pro pagis ecc.
6.VII.
Ho letto, non so più dove, e mi colpisce il ricordo: «La coraggiosa osservanza del dovere».
10.VII.
Apriamo il Vangelo, e il Vangelo (la verità) si aprirà a noi. «Marta, Marta, sollicita es...». Ammonimento che alleggerisce la vita, la semplifica.
11.VII.
I Pr.[omessi] Sp.[osi], un libro che è sempre bene rileggere per abituarci a essere modesti, onesti.
15.VII.
Oggi ho guardato a lungo la calma degli alberi. Questa notte la luce lunare...
20.VII.
Differenza tra Manzoni e Fogazzaro (a parte l’incolmabile e irraggiungibile grandezza del primo): è che secondo il M.[anzoni] gli uomini devono essere mutati dalla religione; secondo il Fogazzaro, la religione dev’essere mutata dagli uomini.
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