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CESARE ANGELINI

DON CESARE PRELINI

In C. Angelini, Ritratti di sacerdoti,Pavia,
Quaderni del Seminario, 1977, pp. 19-24.

Commemorazione tenuta da Cesare Angelini
in Albuzzano il 18 marzo 1956
nella dedicazione di una via del paese
a don Cesare Prelini




ritratto di don Cesare Prelini

Dal fascicolo Nel 50° anniversario della morte del Sac. Prof. Don Cesare Prelini Arciprete Parroco di Albuzzano (1915 - 1965). Ricordi e onoranze, scritti del sac. Elia Zucca (Arciprete Parroco di Albuzzano), Cesare Angelini, commemorazione di Faustino Gianani, Pavia, Tipografia Luigi Ponzio, 1965.


Cari Amici di Albuzzano noi non siamo venuti qui per risuscitare un ricordo della nostra fanciullezza povera e lontana: ma, parlando, qui, dell’Arciprete don Cesare Prelini, inevitabilmente rievochiamo una immagine davvero lontana e non mai perduta della nostra fanciullezza. Gli anziani che insieme con me lo hanno conosciuto e amato e frequentato, non possono non identificare la loro giovinezza con lui, vicino all’immagine sempre viva di nostro padre e di nostra madre e dei nostri più cari familiari.
A chi non l’ha conosciuto potremmo descrivere la sua persona fine e sottile, la sua voce poca e lievemente nasale, i suoi occhi grandi e ciechi dietro le lenti spesse; e in membra infermicce, una gran forza di volontà, tenace, persino testarda, ma sempre a fin di bene. E la persona ci aiuta a ritrovare, a uno a uno, i suoi passi piccoli e brevi, guidati dal bastone che è il compagno fedele del cieco o del quasi cieco; passi di pastore d’anime che andava a visitare i malati e gli infermi; o scendeva fino all’asilo, che allora era al centro del paese, per conversare coi bambini che gli stavano a cuore in quel primo momento della loro educazione e prima rigenerazione. O quando, sul far della sera, faceva la sua quotidiana passeggiata dalla canonica al cimitero a raccomandare piamente i suoi vivi ai suoi morti. Sopra tutto qui mi pare di ritrovarlo, su questa strada, anzi, su questo viale che, per merito del nostro sindaco Proti e del parroco, da oggi prende il nome legalmente da lui: Viale Arcipr. don Cesare Prelini, benefattore.
E a pronunciare, qui, questo nome, mi pare di risvegliare tutto quel piccolo mondo antico di giorni e di opere, di cose e di persone, di funzioni e di feste quando — stupenda scena di costume rustico — i padri colmavano il coro e le madri la chiesa, dando il senso di quella famiglia cristiana che è la parrocchia.
Ma questa è un’immagine, dirò così, privata, dell’Arciprete don Cesare Prelini; appoggiata a ricordi e impressioni personali di un vecchio scolaro che tornando oggi al paese, tra i luoghi e le cose dov’egli visse più di trent’anni, quasi si illude di incontrarlo, per contemplarlo ancora una volta, come una volta.
Di lui è tuttavia facile ricostruire un’immagine più storica, appoggiata a notizie concrete. Sapete che l’Arc. Prelini nacque nel 1843, a Pavia, sotto la parrocchia del Duomo. Fattosi sacerdote, conseguì la laurea in lettere presso la nostra Università e per parecchi anni insegnò nelle scuole governative, che lasciò quando il Vescovo di allora, Mons. Parocchi, ebbe bisogno di lui e del suo titolo di studio per salvare il Seminario diocesano che il governo ostile voleva chiudere. E fu allora che il professor Prelini, insieme con il professor Taccani, fondò quel ginnasio divenuto più tardi il collegio S. Agostino, che ora è sapientemente diretto da uno dei suoi ultimi scolari da lui avviati al sacerdozio: Mons. Fasani.
Intanto il prof. Prelini, uomo di ampia cultura, affermava la sua vocazione di studioso di discipline storiche attraverso la stesura di monografie illustranti le cose di Pavia; la Torre maggiore, la chiesa S. Gervasio, quella di San Marino, quella del Carmine, e certe memorie e documenti dell’Università; pagine che portano segni della sua serietà critica e della sua perizia di scrittore, e lo fecero subito ammirare dai vicini e dai lontani. Anni fa, Mons. Gianani in un suo bel medaglione, s’augurava che qualcuno raccogliesse questi scritti rari e preziosi.

***

La sua opera maggiore, lo sapete, è quel San Siro che trattando la questione del nostro evangelizzatore illumina le prime origini della Chiesa pavese [San Siro fu il primo Vescovo di Pavia, ndr]. E non si dice ora la fatica che gli è costata quel poderoso lavoro in due volumi, e i passi fatti e le spese sostenute e i guai derivati specialmente ai suoi poveri occhi. Lo studio assiduo dei monumenti e dei documenti gli rovinò la già debole vista.
In quegli anni, venuto vacante il posto di Bibliotecario dell’Università, vi concorse e vinse contro un altro famoso concorrente, lo scrittore e poeta Lorenzo Stecchetti. Contento d’averlo vinto per il maggior prestigio del clero, vi rinunciò. La vista cominciava a preoccuparlo sul serio.
E il Vescovo Mons. Riboldi, nel 1884 lo mandò arciprete ad Albuzzano, dove, con l’aiuto d’un altro studioso, don Pietro Moiraghi, continuò a scrivere il secondo volume del San Siro. I parrocchiani d’allora lo vedevano ogni tanto partire, per una o due settimane: andava ad Aquilea, nel Friuli, altrove, in cerca di vestigia e di notizie del Santo che era diventato ormai la sua passione. E qui, in Albuzzano, finì anche il secondo volume di quel lavoro che fece conoscere il suo nome in tutta Italia e fuori. Per questo libro, l’Arc. Prelini appartiene alla storia; e ogni volta che gli storici parleranno della chiesa pavese, bisognerà sempre fare il nome di don Cesare Prelini.
L’uomo che avrebbe potuto vivere nei centri di cultura, tra le conversazioni eleganti degli uomini dotti e letterati, raccolse definitivamente la sua vita nel nostro paese, in questa patria d’alberi e d’acque, tra le anime semplici e ignare; e questa sua modestia fu il primo insegnamento pratico che l’arciprete dava alla sua popolazione. Certo non poteva dimenticare la sua natura di scrittore; e scrisse il Racconto di un cieco, che è autobiografia ed è descrizione vivace dell’ambiente sociale, morale ed economico di questa nostra piccola patria.
Anche questo concorse a ravvivare la sua passione di parroco; e cominciò ad abbellire la chiesa, ornandone l’abside con l’immagine dell’Assunta. Curò le vocazioni sacerdotali che furono molte e felici, se tra esse si conta un arcivescovo, mons. Cazzani, e un cancelliere vescovile e almeno cinque o sei parroci zelanti. E, ultimi, eccoci qui noi due: mons. Fasani e io; lui vicario generale della diocesi, io rettore di un collegio che impone molta umiltà, tutt’e due impegnati a far meno peggio, anche per onorare la memoria del nostro caro maestro, memori di quanto abbiamo avuto da lui: aiuti intellettuali, morali, materiali.
Ma l’arciprete Prelini va ricordato sopra tutto per aver fondato l’asilo: quell’asilo che abbiamo frequentato anche noi, col grembiulino azzurro; e permetteva alle nostre mamme di zappare tranquille alla campagna, perché ci sapevano affidati alle cure di limpide suore che egli aveva chiamato da lontano.
Amici, basterebbe questo titolo — fondatore d’asilo — perché un uomo entri nella storia di un paese e ne sia dichiarato benefattore per sempre; e anche perché il paese gli sia riconoscente per sempre.
Questa nostra riconoscenza ora la dice la lapide che, per volontà di autorità e di popolo oggi inaugura una via del paese al suo nome.
E in questo rito mi par di trovare espressa la voce dei padri che hanno parlato ai figli, persuadendoli di onorare colui che fu il loro Arciprete, che li ha battezzati, sposati, educati alla Fede, alla vita onesta e buona; a quelle virtù che dai padri sono state passate nei figli e nei nipoti, i quali oggi le custodiscono come la più bella eredità.
Perché io so che Albuzzano è ancora oggi la bella parrocchia di allora. Cambiate sono certe cose esteriori e forme comandate dai tempi nuovi. Ma la parte intima e fondamentale, è ancora quella, sana e cristiana. Ne è una prova sicura l’aver voluto che il nome dell’arciprete continui a parlarvi da questa lapide. Don Cesare Prelini non è soltanto un nome: è un compendio di valori morali e spirituali che sono la salvezza di un paese. Onorando lui, oggi voi avete onorato quei valori.


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[Gli scritti «rari e preziosi» di Cesare Prelini sono stati raccolti raccolti nei due volumi: Cesare Prelini, Monumenti e personaggi pavesi, a cura di Luigi Scanavini, Pavia, Emi Editrice, Pavia.]




CESARE ANGELINI

DON CESARE PRELINI


Commemorazione tenuta da Cesare Angelini
in Albuzzano il 12 settembre 1965
nel 50° anniversario della morte
di don Cesare Prelini
in occasione della traslazione
delle ossa dal Cimitero alla Chiesa


All’arciprete don Cesare Prelini, io devo tutto, anche il nome. Fu lui che al battesimo volle chiamarmi Cesare; nome, in quegli anni, troppo fuori dal calendario per venire in mente a dei poveri contadini, com’erano mio padre e mia madre.
E lui ha voluto che diventassi don Cesare, avviandomi ancora giovinetto alla carriera ecclesiastica. Qui dovrei ricordare quel 1898-9 quando, insieme a Mons. Fasani, l’attuale vicario generale, frequentavo ogni giorno le lezioni di italiano e di latino. Ogni tanto accadeva che l’insegnante cambiasse: era il compaesano prof. Giovanni Cazzani, vicerettore del seminario, che veniva a trovare l’arciprete, il quale volentieri ci affidava a lui perché controllasse il nostro profitto. 
Poi venne l’avviamento al Collegio Sant’Agostino e al seminario, sempre sotto la sua guida. Ma queste cose le racconterò, più ampiamente, in altre pagine che ho sempre in mente di scrivere sul buon arciprete; e sarà un modo di pagare, in parte, il mio grosso debito di riconoscenza.
Ora voglio solo ringraziare anch’io Mons. Gianani per il bel profilo che ne ha fatto in occasione della traslazione delle sue ossa dal Cimitero alla Chiesa; e l’arciprete don Elia Zucca, fervido e pio promotore della traslazione e della celebrazione.
Gli anziani, che insieme con me lo hanno conosciuto e amato, ne ricordano la cara immagine vicina a quella del proprio padre e della propria madre; perché quel dottissimo uomo era veramente paterno e materno. A chi non l’ha conosciuto vorrei dire com’era la sua persona: fine e sottile, e la sua voce poca e lievemente nasale, gli occhi grandi e ciechi o quasi ciechi dietro lenti spesse, e, in membra infermicce, una gran forza di volontà tenace, perfino testarda, ma sempre a fin di bene.
La persona ci aiuta a ritrovare i suoi passi, piccoli e brevi, guidati dal bastone che è il compagno del cieco o quasi cieco. I passi del buon pastore d’anime che andava a visitare i malati e gli infermi, o scendeva fino all’asilo che allora era nel centro del paese, o, verso sera, quando faceva la sua passeggiata fino al cimitero a raccomandare piamente i vivi ai morti. Soprattutto mi piace ritrovarlo su questa strada, anzi, su questo viale che, per merito dell’autorità comunale, oggi è legalmente dedicato a Lui quale benefattore del paese.
E, nel dir questo, mi pare di risvegliare tutto quel piccolo mondo antico di giorni e di opere, di cose e di persone, quando — stupenda scena del comune rustico — i nostri padri letteralmente colmavano il coro alle sacre funzioni, e le madri la chiesa, dando il senso pieno di quella famiglia cristiana che è la parrocchia.
Ma io so che Albuzzano è ancora oggi la bella parrocchia di allora, fedele alla voce delle campane che hanno sempre tante cose da dirci. Cambiate sono certe forme esteriori, comandate dai tempi nuovi. Ma la sostanza intima e fondamentale è ancora quella, sana e cristiana. E certo ne gioiscono anche le venerate spoglie del buon pastore, tornato nella chiesa dov’egli, per oltre trent’anni ha educato alla Fede i nostri padri, e ha pregato per i vivi e i morti del paese.


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[Alla commemorazione, oltre ad Angelini, avevano partecipato molti sacerdoti della Chiesa pavese. Ne troviamo testimonianza in: Nel 50° anniversario della morte del Sac. Prof. Don Cesare Prelini Arciprete Parroco di Albuzzano (1915 - 1965). Ricordi e onoranze, scritti del sac. Elia Zucca (Arciprete Parroco di Albuzzano), Cesare Angelini, commemorazione di Faustino Gianani, Pavia, Tipografia Luigi Ponzio, 1965, da dove è tratto il testo sopra riportato.]




Testo estratto da:

CESARE ANGELINI

RITRATTO DI VESCOVO
(MONS. GIOVANNI CAZZANI)

Quaderni del Seminario di Pavia, 1969, p. 9-10.




Mons. Giovanni Cazzani

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[...] non sono io un suo compaesano? Perché è vero che egli nacque a Samperone [Pavia, ndr] il 4 marzo 1867, ma, ancora bambino fu portato ad Albuzzano che egli considerò sempre come il suo paese o, come affettuosamente diceva, «la piccola patria». Poi, ho cominciato presto a conoscerlo da vicino, sugli undici-dodici anni, quando con Mons. Fasani s’andava insieme a scuola dal nostro Arciprete don Cesare Prelini che ci preparava a entrare nel seminario vescovile.
Mons. Cazzani che allora — e voglio dire verso il 1899-900 — era vicerettore in Seminario, veniva spesso al paese a trovare i suoi — numerosa famiglia di onorati agricoltori — e a trovare l’Arciprete, interessante figura di umanista che, oltre la Vita di S. Siro che già cecuziente era riuscito a comporre attraverso lunghi studi e ricerche e peregrinazioni più d’una, scrisse intorno alle nostre chiese e istituzioni cittadine saggi storici che comparivano via via in appendice al calendario ecclesiastico, messo insieme con sapore di autentica cultura storica. Laureato in lettere all’Università di Pavia, il Prelini insegnò nel nostro Seminario e fondò insieme col Taccani e col Porta — altre nobili figure di sacerdoti pavesi — quel ginnasio vescovile che poi fu chiamato il Collegio Santo Agostino.
Venuto Arciprete in Albuzzano nel 1884, vi fu pastore solerte per oltre trent’anni. Vi fondò l’asilo, scrisse romanzi d’ambiente locale: Tra le risaie, Il romanzo di un cieco; e aveva già scritto eleganti versi italiani e latini. Ultimo tocco alla figura del caro Arciprete, era, forse, un colore un poco giansenista, se per giansenismo s’intende quel rigore di pensiero e di dottrina che fonda e impegna severamente la vita dell’uomo.
In quegli anni, il giovane Cazzani collaborava a riviste pedagogiche, per esempio, a Scuola Italiana moderna, con pagine di limpida prosa e versi scritti sul metro e nello spirito degli inni sacri. E un’ultima mano deve avergliela data lui a Primizie, il volumetto di versi del fratello minore, Camillo, che morì troppo presto per poter affermare più pienamente il suo talento poetico.
Quel giorno, dunque, che capitava in parrocchia, l’Arciprete cedeva volentieri i due marmocchi a lui che, avezzo a dirozzare ingegni, ci intratteneva sugli Esempi di bello scrivere di Luigi Fornaciari, o nello svolgimento di un tema rusticano trovato nella nostra famiglia o in paese.
Cari amici, non negherete che la mia prima educazione, benché svoltasi tra le risaie di un paese della Bassa che soffriva ancora di malaria e di pellagra, ebbe davvero eccellenti maestri. Avessi saputo approfittarne!
Più tardi, nel 1903, entrato nel Liceo del Seminario, lo ebbi come rettore e professore di Italiano. [...]